
Si disquisisce da anni sulla cipolla nell’amatriciana o se nella carbonara ci vada la pancetta o il guanciale. E sempre sulla carbonara è ancora senza risposta la domanda sulle sue origini: piatto autoctono tramandatoci dai pastori laziali o rivisitazione ‘maccheronica’ delle colazioni americane a base di uova e bacon?
Queste diatribe non mi appassionano. Anche perché amatriciana e carbonara rappresentano solo una parte (e nemmeno troppo grande) della cucina romana. Una cacio e pepe, ad esempio, è più romana di esse. E che dire della coda alla vaccinara? E dei rigatoni con la pajata? E le animelle fritte? E la coratella? E la trippa? Bisogna mettere subito le mani nel piatto e farlo con la ‘regina’ del Quinto quarto: la coda. Prima però un breve chiarimento per chi non lo sapesse. il Quinto quarto raccoglie le parti meno nobili della bestia quindi coda, testa, zampi e interiora. La cucina romana su questa ‘innobilità’ affonda le proprie radici tra cui la ‘regina’ è primus inter pares.

La storia di questa ricetta parte da chi l’ha battezzata, vale a dire i vaccinari o scortichini, addetti nei mattatoi a scorticare, scuoiare e dividere in mezzene (in due verticalmente) le bestie macellate. E’ storia che questi vaccinari venivano pagati non con moneta ma appunto con il Quinto quarto che, finita la giornata di lavoro nel Vecchio Mattatoio di Testaccio, veniva fatto cucinare nelle osterie dei paraggi.
Per paraggi intendiamo principalmente i rioni Testaccio (dove c’era il mattatoio) e Regola (che si sviluppa nei pressi della moderna Via Arenula). Nel rione Regola, inoltre, fino alla fine del 1800 anche una chiesa era dedicata a questi lavoranti di ‘bassa macelleria’. Parliamo di San Bartolomeo dei Vaccinari, demolita per creare una via di collegamento tra Trastevere e il centro cittadino.
Anche Trastevere, che in lingua madre fa trans Tiberim ovvero al di là del Tevere, ha dato il suo contributo alla ricetta della ‘regina’ del Quinto quarto, se è vero come è vero che nella Roma papalina (ma anche a causa delle dominazioni spagnole) era di uso comune usare il cacao come spezia, cacao che ritroviamo nella ricetta (quella vera) della coda alla vaccinara. Ad accompagnare scegliete un vino laziale. Io vi consiglio il Cesanese del Piglio tanto caro a mio nonno Ciccillo, maestro vero a cui dedico questa ricetta…
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